Il personaggio

Mamma mia come mi diverto

Carrozziere mancato, Roberto Muzzi vuoi sfondare nel calcio

Nonostante tutto il padre continua a considerarlo un bravo carrozziere mancato. Non sono bastate a Roberto Muzzi le apparizioni in prima squadra, o magari i gol e gli apprezzamenti unanimi di critici e tifosi, per convincere il severo genitore. Del resto in casa Muzzi lo sport e il calcio non sono mai stati ai primi posti nella hit-parade degli interessi. Almeno fino a quando Fabrizio non ha cominciato a tirar calci ad una palla. E lo ha fatto, giovanissimo, con la maglia Pro Calcio Italia, fucina di giovani campioncini. Dopo Fabrizio anche Roberto è entrato nel calcio e allora in casa Muzzi, volenti o nolenti, hanno dovuto interessarsi a quel mondo considerato realmente un altro... mondo.
Però niente è cambiato. La tranquillità familiare non è stata scalfita, nemmeno dai titoloni dei giornali che hanno preso ad interessarsi a quel giovanottone promettente e veloce quanto un treno. E lui, Roberto, che cosa dice di questa improvvisa popolarità? Poco o niente, dal momento che si spaventa quando vede spuntare microfoni e taccuini. «Quando sono entrato in sala stampa dopo il gol segnato al Bologna - racconta - sono stato assalito dalla timidezza. Mamma mia, mi sono detto, e adesso cosa gli racconto a questi qui? Così ho finito per fare la figura della pera cotta, ma non mi fregano più». Un modo simpatico, insomma, per sfuggire dai riflettori, per allontanarsi dalla ribalta. Evidentemente non gli si addice. Preferisce, e fa bene, scaricare tutta la sua voglia di giocare, ogni qual volta Bianchi gli concede l'opportunità di scendere in campo. E da quanto si è visto di voglia ne ha molta. I tifosi lo hanno eletto immediatamente a proprio beniamino e i cori a lui inneggiati mettono i brividi per via dell'assonanza con un grande della Roma tricolore: Roberto Pruzzo. «È ovvio che di simile c'è solo il nome - si affretta a prendere le distanze Muzzi, quasi arrossendo - tuttavia non posso negare che la cosa mi riempie di gioia e di orgoglio. Anche se non sono un attaccante puro, anche se non segnerò mai le valanghe di gol realizzate dal bomber, spero quanto meno di evitare la militanza con la maglia giallorossa». Suona un pò strano se si pensa che quando arrivò a Trigoria dalla Pro Calcio Italia al collo esibiva una catenina con tanto di aquilotto laziale. Un ricordo di uno zio, tifoso biancazzurro, che cercava di farlo appassionare alla Lazio. Fu Bruno Conti ad invitare il ragazzino a far sparire quel cimelio. Roberto non ci pensò due volte, anche perché era il giorno in cui la Roma celebrava all'Olimpico contro il Torino la conquista del secondo scudetto e quella marea giallorossa che gli è entrata negli occhi, non è più uscita. Come detto, non è cambiato. Neanche oggi che il suo nome è sulla bocca di tutti. Continua a vivere questo sogno che si sta materializzando ogni giorno di più. Ed è entusiasta di quello che ottiene, non pretende la luna. La corsa spontanea verso Bianchi al termine della partita di Bergamo contro l'Atalanta significa molto di più di un ringraziamento fatto magari attraverso le pagine di un giornale.
Sa di essere destinato ad una buona carriera, ma sa anche aspettare. E se qualche volta l'impeto giovanile lo fa fremere dall'impazienza, riesce con la calma acquisita nell'equilibrio familiare a ritornare immediatamente dentro le righe. Un ragazzo simpatico, timido, ma che in campo riesce a trasformarsi. Niente di particolare, sia chiaro. Giusto quel pizzico che occorre per sfondare in un ambiente difficile come appunto quello calcistico. Basta ricordare che cosa disse subito dopo il suo esordio contro l'lnter al Flaminio nel febbraio scorso. «Brehme? Sinceramente me lo aspettavo più forte», fu il commento che sorprese un pò tutti negli spogliatoi. Senza malizia, per carità, solo un modo semplice, diretto, non ipocrita, per sottolineare la giornata in vero opaca cui era incappato il forte difensore tedesco. E anche la prima ammonizione ricevuta nasconde un aneddoto curioso. Pairetto, l'arbitro di Roma-Bologna, lo redarguisce perché sta spingendo un pò troppo, ma il ragazzo che crede di aver subito un fallo gli risponde dandogli del tu ed inevitabilmente si becca il cartellino giallo. Anche in questo caso non c'entra la maleducazione, ma sempre la semplicità nell'affrontare qualsiasi situazione. Ma troppi sarebbero gli episodi che varrebbe la pena di raccontare. Come quello, per esempio, che ha visto coinvolto addirittura Spinosi ai tempi in cui giocava ancora in Primavera. Spinosi stava riprendendo i suoi difensori dopo una partita e portava se stesso come esempio di corretta interpretazione del ruolo. Muzzi non seppe trattenersi e ricordò al tecnico la sua proverbiale lentezza. Dopo un attimo di silenzio imbarazzato, è scoppiata una risata generale. Insomma è fin troppo facile tratteggiare il profilo di un ragazzo come Muzzi. Baciato dalla voglia di giocare, tranquillo e con la testa a posto come pochi se ne vedono. E se papà Muzzi storcerà la bocca perché avrà perso un buon carrozziere, i tifosi della Roma gioiranno perché all'orizzonte sarà nato un bravo giocatore.

Tratto da La Roma gennaio 1991

 

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